Per qual ignoto calle: Eros e Affetti al tramonto della Serenissima
di Maria Borghesi
Un mondo sospeso tra acqua e cielo, ponte tra il grande Oriente e il glorioso Occidente, centro in una rotta che congiunge il mondo del Nord con quello del Sud, crocevia di persone, merci, linguaggi: questa fu la Repubblica della Serenissima. Ma, sopra a tutto, tra i calli intricati della bella Venezia si sviluppò un importante centro di cultura reso immortale dalle sue decorazioni sgargianti e i suoi palazzi in marmo bianco che paiono ricami. E il mondo della musica non fu da meno: da tutta Europa arrivavano a Venezia musicisti che desideravano sostenere il difficile concorso per ottenere l’incarico di Maestro di cappella della Basilica di San Marco, fulcro attorno al quale gravitavano tante istituzioni: dal famoso orfanotrofio femminile, ove Antonio Vivaldi formava eccellenti virtuose, ai primi teatri d’opera, nei quali per la prima volta la musica usciva dal cerchio degli aristocratici per ampliare d’un poco il proprio pubblico.
Il concerto di oggi ci porta in un viaggio tra le meraviglie veneziane, con i suoi ornamenti che si fanno suono e le sue tinte contrastanti che prendono forma nel timbro di una voce di contralto, un violoncello e un clavicembalo. Il ruolo del cicerone, in questo viaggio, lo ricopre un veneziano d’eccellenza: il Maestro e compositore Antonio Vivaldi, il cui nome divenne presto famoso in tutto il continente grazie alle migliaia di opere uscite dalla sua penna e al continuo lavorio degli stampatori che si prodigavano nel diffondere la sua musica. La sua arte rimane imperitura a risuonare dalle chiese e dai saloni della Serenissima prima di dissolversi tra calli e canaletti.
Il programma del nostro viaggio si articola in tre tappe, in cui si parlerà d’amore contrastato e conquistato; nel mezzo, faremo brevi passeggiate che permetteranno di riprendere il fiato e di prepararsi alla sosta successiva. A ciascuna tappa corrisponde un affresco, ovvero una Cantata: si tratta di una forma di composizione vocale suddivisa in più movimenti che alternano sezioni in recitativo – ovvero in uno stile a metà tra il parlare e il cantare –, e altre che si espandono in vere e proprie arie, ove la grande carica emotiva può esplodere lasciando spazio alla materica voce spiegata.
Il ritrovo è di fronte al polittico della Cantata Pianti e sospiri o dimandar mercede. L’autografo di questa piccola perla è conservato nella Biblioteca di stato di Dresda, così come tanta altra musica vivaldiana. Non sappiamo di chi sia il testo intonato in musica, ma vi troviamo tratteggiato il primo di tre disperati amanti che nel corso di questo breve itinerario racconteranno i propri tormenti. Questi pare un marinaio, un nocchiero, che si sente sbattuto dai venti e dall’incostanza della sua amata. Dolcissima, quanto illusoria, è la riflessione sulla «Lusinga», che per il nocchiero è come un «venticel leggier | che placido lo invita a solcar l’onde». Ma come ogni uomo di mare ben sa, del vento non c’è da fidarsi: c’è il rischio che appena usciti dal porto si scateni la tempesta. Bellissimi, nella musica, i florilegi della voce che paiono dipingere col suono il fluttuare delle onde che si inspessiscono, creando un vero e proprio dittico emotivo nella prima aria. La vicenda del nocchiero-amante continua: disperso nella tempesta amorosa, sentitosi ingannato dal vento così come dall’amata, si tormenta per la scelleratezza delle sue illusioni e non può che inveire di fronte a tanta disperazione, librandosi in virtuosismi che coinvolgono tutto l’organico, dalla voce al basso continuo.
E con la grande ira del nostro nocchiere ancora nel cuore e nelle orecchie, ci spostiamo accompagnati dalla Sonata in Fa maggiore RV 41. Qui il canto passa alla voce del violoncello, che, sostenuto dal clavicembalo, pare voler rielaborare l’esperienza del nocchiere nell’arco di quattro diversi movimenti dal tradizionale andamento contrastante (Largo-Allegro-Largo-Allegro).
Col passeggiare, giungiamo quindi ad ammirare una nuova Cantata, che si apre con l’intonazione di un’ode ai luoghi natii. Si canta «Care selve, amici prati», per omaggiare quei luoghi del cuore ove si torna per curare le proprie ferite, per ritrovare pace e serenità. D’un tratto ci troviamo immersi in un’aulica cornice pastorale dal sapore arcadico: boschi, prati, ruscelli, greggi e capanne che riportano la mente alla calma semplicità di un mondo passato del quale, però, non rimane che un inafferrabile ricordo ormai idealizzato. Vivaldi aveva certamente dei grandi modelli per dar suono a questo bucolico paesaggio, in cui si ambientava tanta parte del repertorio dell’opera seria primo-settecentesca messo in scena tra Venezia e la corte imperiale di Vienna: dietro a questa cantata ritroviamo, infatti, tutta la poetica dell’Accademia dell’Arcadia, integrata nell’esperienza operistica settecentesca dal verso idillico e gentile del poeta e librettista Pietro Trapassi, detto Metastasio.
Allontanarsi da un mondo così etereo e in apparenza perfetto non può che lasciar del dispiacere in corpo. A dargli voce c’è la Sonata in Sol minore RV 42: incede stentatamente la melodia del violoncello nel Preludio d’apertura, fluendo su un ritmo puntato che si interrompe per librarsi in brevi cadenze. Di tutt’altro colore è l’Andante successivo, in cui gli strumenti sembrano riprendere vitalità e cercare un riscatto. Questo susseguirsi di emozioni e sensazioni contrastanti è una delle cifre caratteristiche dell’arte barocca, e la sua applicazione in musica si definisce – nel gergo tecnico – “poetica degli affetti”: si tratta di una forma di retorica basata sull’idea che la musica possa suscitare emozioni e che specifici stati d’animo possano essere meglio rappresentati dall’impiego di specifiche tonalità e figure musicali.
Il nostro viaggio si conclude nel centro della città lagunare con un nuovo colpo di scena. Voltando strada, ci si trova di fronte un amante infelice e scontento, che lamenta il suo dolore quasi in medias res, intonando la cantata Per qual ignoto calle. Questo è un amante-pellegrino che si sente combattuto, così come lo sarebbe qualsiasi viandante inesperto, tra il timore che gli suscita l’idea di muovere anche soltanto un passo nella notturna Venezia avvolta dalla fitta nebbia durante una grande tempesta, e il fascino del meraviglioso spettacolo che si trova davanti. Nello stesso modo, l’amante infelice non sa se insistere di fronte alle reticenze dell’amata (col rischio oggettivo di fallire), o se desistere. Ma un viaggio nella bellezza non può avere esito negativo: infatti, come intona il nostro amante, «dopo lampi e turbini | appar l’aurora fulgida | a dissipar le tenebre». Con gli intricati virtuosismi in cui si abbandona la voce, ora fiduciosa, Vivaldi ci lascia un monito: ogni fatica e ogni tormento ci saranno ben grati nel momento in cui avremo superato i nostri timori e avremo osato, che sia questo per ammirare un’affascinante Venezia by night o per conquistare la persona amata poco importa.